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COMUNICATO SINDACALE 10/09/2008
I NUMERI GALEOTTI

Seppure apprezziamo lo sforzo del Ministro ALFANO di dare, in tempi rapidi, adeguate risposte all’emergenza carceraria, da noi più volte denunciata prima delle recenti consultazioni elettorali, allorquando abbiamo incontrato esponenti delle diverse aree politiche, non possiamo esimerci dall’esprimere, con spirito di lealtà, delle perplessità sulle recenti ipotesi di soluzioni che sono state pubblicizzate dagli organi d’informazione.
L’esperienza sul campo, infatti, ci dice che esse rischiano di rappresentare, soltanto, lo spostamento in avanti del timer di un ordigno destinato a deflagrare.
Non potranno essere poche migliaia di virtuali destinatari di un provvedimento, il quale finora non è stato reso noto ai direttori penitenziari d’istituto e degli uffici dell'esecuzione penale esterna, nonché agli altri operatori che, effettivamente lavorino a contatto reale con i detenuti, a risolvere, strutturalmente, la “madre” di tutti i problemi: l'assenza di spazi adeguati e dignitosi dove i ristretti siano tenuti ad espiare, in modo utile per la società, le condanne o essere sottoposti alle misure di custodia cautelare detentiva.
Ad oggi non sappiamo se le misure che si vorrebbero adottare rispondano al principio di dissuadere le persone detenute dal commettere nuovi crimini, soddisfacendo, contestualmente, il desiderio di giustizia della collettività e delle vittime dei reati, nonché la pretesa di giustizia dello Stato.
Non sappiamo se vi sia un qualche riferimento alle finalità del recupero delle persone detenute, attraverso il reinserimento nel mondo del lavoro, in famiglia, nella comunità, nel suo territorio.
Siamo convinti che non si voglia un arretramento culturale, ma non abbiamo, però, notizia di come sia stato salvato uno dei pilastri dell’ordinamento penitenziario italiano, quello della “premialità” verso quanti, detenuti, accettino le regole del vivere civile.
La pratica di “forzare” l’editto penale e, nei fatti, scarcerare anzitempo il detenuto, seppure con lo strumento del “braccialetto”, sulla base di un automatismo (il dover lui ancora scontare gli ultimi due anni di pena), a prescindere dall’osservazione della sua personalità, rischia di ridurre la funzione penitenziaria all’esercizio della mera conta dei numeri “detenuti”, piuttosto che all’esame delle personalità delle persone che essi rappresentano, rinunciando a costruire ipotesi di SICUREZZA DURATURA.
Inoltre, in tal modo, si demotivano ulteriormente gli operatori penitenziari, i quali vedono il carcere sempre più degradato a mero contenitore di una folta umanità prigioniera, invece che di luogo istituzionale capace di offrire l'ultima, se non unica, opportunità di cambiamento, per chi voglia mettersi ancora in gioco, attraverso la formazione professionale, il lavoro ed una condotta “riparativa” verso la società.
Il carcere rischia di caratterizzarsi, unicamente, come luogo orrido di passaggio, capace di alimentare esclusivamente criminalità e dispensare “master” delinquenziali nel momento in cui smarrisce il suo significato pedagogico.
Ma queste possono apparire osservazioni “romantiche” di “inguaribili cultori della scienza penitenziaria”, fuoriluogo in un momento in cui prevalgano le spinte emergenziali, allora fingiamo di superarle e soffermiamoci sulle perplessità più evidenti, seppure alla sola luce delle indiscrezioni della stampa:

  - per ciò che attiene i possibili detenuti destinatari dei “braccialetti segnalatori”, sarà per essi obbligatorio accettare di andare in detenzione domiciliare prima della scadenza naturale della pena, anche se non abbiano i mezzi per sopravvivere, non siano in grado di avere un’abitazione, non abbiano famiglie o queste ultime non vogliano avere rapporti con essi, non siano accolti in comunità, ancor di più ove debbano seguire cure mediche a motivo di malattie gravi ed infettive, etc. etc. ?
- come sarà concretamente organizzato il servizio di vigilanza a distanza, vi saranno centrali operative regionali, provinciali, locali, e con quale personale (non certo sottraendolo ancora una volta alle carceri…), e quali saranno i tempi della formazione per gli addetti, chi assicurerà la manutenzione ordinaria e straordinaria, senza soluzione di sorta, delle sofisticate apparecchiature, come si procederà in caso di improvvisi guasti, che durata avranno i contratti da stipularsi con le imprese del settore, come ci si raccorderà con le altre forze dell’ordine, e siamo sicuri che non accadrà quello che oggi, e già da anni, si verifica negli istituti penitenziari, dove non vengono garantite le manutenzioni ordinarie degli impianti elettrici, dei sistemi di videocontrollo, di quelli antincendio, dove il parco mezzi per le traduzioni è obsoleto, e dove le caserme, destinate al personale di polizia penitenziaria, non sono state ancora adeguate a decenti standard di ospitalità?
Andiamo adesso alle “espulsioni” (misura che, in verità, già esiste…):
  - quanto altro tempo ci vorrà per stringere accordi internazionali efficaci con tutti gli stati che esprimano immigrati clandestini (la cui gran parte si trova nel Continente Africano, oltre che nel Centro e Sud America, nel Medio ed Estremo Oriente, e nell'Europa Sud-Orientale, etc.)?

Oggi le procedure sono lente, e la resistenza dei destinatari dei provvedimenti è rilevante, temendo essi, una volta rientrati forzatamente nei Paesi d’origine, il rischio di “sanzioni accessorie”, ben maggiori della pena da espiare in Italia.
Ciò, ovviamente, non esclude una qualche modesta efficacia del provvedimento sul piano deflattivo, ma il numero dei detenuti, soprattutto se si confermerà una linea sicuritaria di maggior rigore nel contrasto alle criminalità piccole od organizzate, soprattutto in tema di sicurezza urbana, di lotta alla droga, alla prostituzione, etc., sarà comunque compensato da nuovi arresti. E le carceri, le nuove carceri, di cui abbiamo un bisogno straordinario, si faranno, ed in che modo ciò avverrà ?
Oggi quanti istituti sono “in regola”, quanti istituti sono rispettosi del D.lgs. 626/94 e norme successive, e fino a quando sarà consentito ai detenuti di poter detenere un fornello personale, autoalimentato a GAS, e di cucinare all’interno dei locali, adibiti a gabinetto, col rischio che vengano utilizzati per sniffare butano o come strumenti di offesa verso compagni e operatori penitenziari ?
A tal proposito, chiediamo al Governo: “Non è forse, finalmente, il caso di investire su un ristrettissimo gruppo di operatori penitenziari che conosca dal di dentro le carceri, e che possa valersi della consulenza di organi tecnici “pubblici” (chiedendo la collaborazione delle facoltà di architettura, di ingegneri, di esperti in sistemi di sicurezza…), il quale avrà il compito di supportare un commissario straordinario per le carceri, il quale dovrà affrontare, esclusivamente, il tema delle nuove strutture penitenziarie, anche rivolgendosi al mondo delle imprese e dei capitali, proponendo la finanza di progetto, al fine di trovare sostegno e partners per realizzare, su aree demaniali, semmai pure riqualificando le caserme dismesse, i vecchie aeroporti militari inutilizzati, etc., tutti gli istituti carcerari di cui necessitiamo in cambio del dovuto ?
Ma se davvero si pensa a nuovi istituti penitenziari, diamo per scontato che dovrà pure considerarsi l’altra prioritaria condizione per tentare di normalizzare il sistema: la migliore utilizzazione del personale esistente e l’assunzione di ulteriori operatori penitenziari, in primo luogo di Educatori, e poi di Assistenti Sociali, di Psicologi, di Poliziotti Penitenziari, di Dirigenti Penitenziari.
L’esperienza ci insegna a diffidare dalle soluzioni scritte “a tavolino” ed elaborate lontane “dalla prima linea”.
Forse sarebbe il caso di fermarsi un attimo a riflettere; nel frattempo, continuiamo ad assicurare al Ministro la nostra leale collaborazione di dirigenti penitenziari e di servitori dello Stato, auspicando, nel contempo, che prevalgano le ragioni della concretezza la quale, in un settore delicato come il nostro, non potrà mai essere disgiunta dalla ragionevolezza e non dovrà abdicare ai principi costituzionali della pena.

Il Segretario Nazionale
Dr. Enrico SBRIGLIA

 

 

 

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