SEMINARIO - “CARCERE E UNIONE EUROPEA”
24 MARZO 2010

SEMINARIO

“CARCERE  E UNIONE EUROPEA”

TRIESTE, 16 APRILE 2004.

L'ESECUZIONE PENALE ESTERNA .

     Nel trascorso 2003, sono stati  30.467 i condannati che hanno scontato in tutto o in parte la loro pena in regime di  AFFIDAMENTO IN PROVA,  13.914 i  DETENUTI  DOMICILIARI, 

3.814    i  SEMILIBERI,  727 i soggetti in  LIBERTA' CONTROLLATA,  48 i casi di SEMIDETENZIONE  ( cfr. statistiche allegate ).

Queste cifre testimoniano un solido punto di partenza per una politica criminale che intenda  farsi carico dei tanti problemi che sfidano quotidianamente la  società  politica e  civile, una sfida che può responsabilmente essere raccolta dall' Amministrazione Penitenziaria, ma anche da operatori responsabili che sanno molto bene valutare la crucialità di trattamento e sicurezza insieme, operatori che sanno essere propugnatori di buone prassi da adottare in risposta al cittadino che chiede più sicurezza sociale ma anche prevenzione e lotta alla criminalità. Tali obiettivi  non devono significare una “militarizzazione” del territorio né degli spazi privati di vita  perché si possono conseguire a costi inferiori rispetto a quelli della carcerizzazione e a più alto e duraturo rendimento, se gestiti con lungimiranza, adeguamento dei servizi, giusta valorizzazione di tutto il personale e la costruzione di reti sociali che, avvalendosi al meglio della legislazione vigente, consentano l'accesso al lavoro, alla casa quando e dove necessario,  e il  mantenimento dei rapporti familiari e genitoriali quando utili e opportuni per il reinserimento.

Alla denuncia dei limiti e delle patologie del sistema carcerario, se esso continua a monopolizzare il nostro sistema penale restando lontano dalla logica della “estrema ratio”, non è mancato il contributo dello stesso Papa Giovanni Paolo II°, che nel suo messaggio diffuso in occasione del Giubileo nelle carceri ( 9 luglio 2000) ha affermato la necessità di “riflettere sul senso della pena” e di “aprire nuove frontiere per la collettività, per offrire a chi delinque la via di un riscatto e di un reinserimento positivo nella società”. E',questa, una prospettiva che nel suo respiro sociale e umano accoglie anche la sofferenza delle vittime, che in taluni casi potrebbero sentirsi “risarcite”, per esempio, dalle prestazioni gratuite di attività lavorative di pubblica utilità da parte di autori di determinati reati. Tanto per fare l'esempio di una strada- o idea- che apre al futuro anche in Italia, come già è in alcuni Paesi d'Europa.

Per questo torniamo ancora una volta ribadire che se si vuole efficacemente ( cioè senza retorica) ampliare l'area del controllo penale cercando la pena “utile” è giocoforza anche allargare e potenziare  l'area delle pene/misure alternative alla detenzione. A tal fine, servono sia buone prassi che buone leggi.

Innanzitutto , serve un nuovo corpo di sanzioni penali non detentive da collocare nel nuovo  Codice Penale, a disposizione del Giudice insieme alla sanzione detentiva.

Secondariamente, ma non in ordine di importanza , occorre che i Servizi territoriali dell'Amministrazione Penitenziaria incaricati di gestire l'esecuzione penale esterna al carcere ( gli attuali CSSA ) possano assicurarne la gestione sotto tutti gli aspetti ( controllo, aiuto, riparazione o risarcimento del danno) trasformandosi da organizzazioni monoprofessionali quali attualmente sono ( caso unico in Europa!) in organizzazioni pluriprofessionali in grado di dare risposte complete, globali e “modellate su misura” rispetto alla complessità operativa che l'esecuzione delle pene richiede tanto  dentro che fuori dal carcere.

In altri termini, si propone l'unificazione gestionale in un unico Servizio  di tutti gli aspetti e di tutti i segmenti costitutivi l'esecuzione penale alternativa alla detenzione, scelta che si reputa necessaria affinché anche quella espiata in forma  non detentiva sia considerata una pena  a tutti gli effetti.

Ma appare oltremodo necessario anche che ai direttori di tali Servizi sia attribuita l'autorità  di proporre all'Autorità Giudiziaria il programma di trattamento da applicare ai condannati ammessi all'affidamento in prova o alla detenzione domiciliare; di controllare l'esecuzione di tali programmi da parte di coloro che vi sono sottoposti e di riferirne all'Autorità Giudiziaria proponendo eventuali  interventi di modificazione o di revoca; di acquisire informazioni sia direttamente  che attraverso le Forze di Polizia, gli Enti Locali e gli Enti Previdenziali.

E, infine, ai Direttori di Servizio Sociale (attualmente configurati per contratto A.S.C3!) va riconosciuto il ruolo dirigenziale , perché sia loro possibile svolgere tutti i compiti di loro pertinenza  nella direzione  a pieno titolo, sia dentro che fuori dall'Amministrazione.

TRIESTE, 16 aprile 2004.    

Dott.ssa Antonietta Pedrinazzi, CSSA Milano.


 

 

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